Ricordare è in realtà un processo spirituale

05.12.2013 21:14

L’uomo comune si rappresenta il ricordare all’incirca così: egli dal mondo esterno ha ricevuto delle percezioni, delle cognizioni, che hanno prodotto in lui delle immagini; queste immagini rimangono indietro da qualche parte, ed egli può richiamarle nella sua vita animica quali immagini di ricordo.

A volte si pensa che rimangano più impressi ricordi legati a momenti importanti e particolarmente emotivi. Però la faccenda non è così. Le immagini ricevute guardando il mondo esterno, suscitate in noi attraverso i sensi, sono accolte al nostro interno dalla coscienza ordinaria; se poi riflettiamo sulle percezioni forniteci dai sensi, formiamo dei pensieri di cui ci restano immagini di ricordo. L’anima dell'uomo guardardando il mondo esterno, vive con esso insieme alle immagini di ricordo del passato che ha vissuto. Solo che dalla coscienza ordinaria non viene conosciuto esattamente ciò che vive nel ricordo.

Osserviamo un po’ per gradi cosa accade veramente con l’essere umano. Nella vita ordinaria si osservano poco queste immagini che si smorzano,

poiché per il percepire si impiega un’attività più energica: si riflette. Quando l’uomo impiega una debole attività del pensare e il mondo esterno gli presenta un’immagine davanti agli occhi, allora riecheggia una seconda immagine. Se però l’uomo ora riflette, allora in certo qual modo porta più dentro l’attività proveniente dall’esterno, e allora riecheggia la sua immagine di pensiero. Questo è anche un risuonare. Queste immagini di pensiero susseguenti andrebbero tuttavia a spegnersi, così come si spengono quelle dei sensi, se venissero suscitate solo come immagini di pensiero. Ma ciò non avviene assolutamente, poiché l’uomo non ha solo la testa, ma anche il resto dell’organismo, che in realtà è tutt’altra cosa rispetto alla testa.

La testa è veramente in modo prioritario un’immagine susseguente di ciò che l’uomo attraversa prima di discendere dal mondo spirituale nel mondo fisico attraverso la nascita o il concepimento. È molto più fisica del rimanente organismo. Il resto dell’organismo è meno sviluppato fisicamente della testa, e si potrebbe dire: lo spirituale è presente in realtà nella testa solo come un’immagine, mentre nel rimanente organismo è fortemente attivo. Abbiamo una testa fortemente fisica, organizzata plasticamente: spiritualmente lì dentro vi è poco spirito. E abbiamo un organismo che è un’immagine susseguente, non fortemente fisica, di ciò che l’uomo era prima della nascita, prima della discesa, ma in cui lo spirituale è più forte. Nella testa è più organizzato il fisico, nel restante organismo lo spirituale.

con l’occhio prendiamo dal mondo fisico-eterico qualcosa di vero, che in noi è come un effetto dell’immagine; ma là dietro sta un processo spirituale molto più reale, che rimane solo nell’inconscio. L’uomo non lo può percepire con la coscienza abituale. È un processo spirituale che scorre abbastanza parallelo alla percezione fisica. Il ricordo ci sorge tramite ciò che è anche penetrato dentro di noi quella volta, senza che ce ne accorgessimo, contemporaneamente a quello che ha suscitato il pensiero. Quando ricordiamo non è il pensiero che è andato a spasso là sotto, ma è stato, un processo spirituale inconscio. Esso sarà osservato più tardi. Il ricordo è osservazione, osservazione posteriore di un processo spirituale avvenuto in parallelo alla percezione fisica

Vedete, noi uomini in realtà viviamo così nel mondo: qui c’è la nostra continua corrente dell’esistenza; noi siamo dentro al mare del mondo dello spirito. Ed ora viviamo, fra la morte ed una nuova nascita, in questo mondo spirituale dentro la nostra ulteriore esistenza. Solo vi sono dei periodi in cui usciamo dal mondo spirituale con la testa. Dunque ci muoviamo, e in certi periodi ci tiriamo fuori, come un pesce che balza fuori dall’acqua. È la vita terrena. Poi ci rituffiamo. Quindi viene di nuovo una vita terrena. Infatti non emergiamo da questo mare di esistenza spirituale con tutto il nostro essere spirituale, ma solo con la testa. Là sotto restiamo sempre dentro il mondo spirituale. Solo che con la coscienza abituale non sappiamo cosa accade.

Quindi per la percezione spirituale possiamo proprio dire: l’uomo vive tra morte e nuova nascita nel mondo spirituale. In seguito guarda sopra con la sua testa nel suo fisico, ma con la parte principale resta sempre ancora nel mondo spirituale, anche tra la nascita e la morte. Ed è bene per noi che rimaniamo a nuotare lì dentro, perché altrimenti non avremmo alcun ricordo. Quella che abbiamo come una coscienza che procede nel tempo non è nient’altro infatti che una vista più in prospettiva del passato. Il passato non passa, rimane. Le nostre immagini si spostano solo in una prospettiva temporale.

Ora però, proprio questa relazione a ciò che in noi sono di fatto i processi spirituali anche tra nascita e morte si è essenzialmente modificata per gli uomini nel corso della vita terrena. Quando guardiamo l’essere umano, esso consta del corpo fisico e di quello eterico. Ma questo dell’uomo sarebbe solo ciò che di notte giace nel letto quando dorme. Di giorno in questo corpo fisico ed eterico sono penetrati dentro anche il corpo astrale e l’Io. L’Io di quegli uomini che hanno vissuto prima del mistero del Golgotha – ed eravamo noi stessi quegli uomini, in precedenti incarnazioni – si è imbattuto con il mistero di Golgotha. Allora gli uomini si svegliavano in un altro modo rispetto a quelli dopo il mistero del Golgotha. Il corpo astrale entra sempre completamente nel corpo eterico. Ma prima anche l’Io entrava molto ampiamente nel corpo eterico. Oggi non succede più. Oggi l’Io entra solo nella parte della testa del corpo eterico. Di modo che l’Io negli uomini antichi si immergeva completamente e di conseguenza arrivava anche nelle parti inferiori del corpo eterico.

Oggi non arriva fino in basso, ma solo nella testa. Per questo possiamo pensare in modo intellettuale. Nel momento in cui ci immergessimo più profondamente, riceveremmo delle immagini istintive. E l’Io, nell’uomo del presente, in realtà è ancora molto fortemente esterno al corpo fisico. Cosicché proprio il suo essere intellettuale si basa sul fatto che egli ora non si immerge più con il suo io in tutto il suo corpo eterico.

Se ciò avvenisse, avrebbe una chiaroveggenza istintiva. Ma egli non si immerge più in tutto il suo corpo eterico, ma solo in quello della testa, allora non ha questa chiaroveggenza istintiva, ma una chiara visione cosciente, un chiaro cosciente percepire del mondo esterno, ma solo un percepire della testa il mondo esterno, proprio come è il nostro percepire. L’uomo antico vedeva ancora con tutto il suo uomo. L’uomo d’oggi vede solo con la testa. E la testa è proprio la cosa fisica più generale tra nascita e morte. Perciò all’uomo del tempo intellettualistico verrà dato solo ciò che percepisce con la sua testa fisica e anche ciò che percepisce attraverso il corpo eterico della testa: i pensieri che egli si può fare. Già il processo del ricordare, che però avviene là sotto, si sottrae alla coscienza. L’uomo moderno lo interpreta in modo completamente errato, come ho spiegato. Per questa ragione l’uomo antico vedeva attorno a sé non solo il mondo fisico esteriore, ma dietro ad esso, esseri spirituali. Il mondo fisico esterno in particolare non gli era affatto chiaro, questo mondo aveva per lui cose più confuse rispetto all’uomo moderno. Ma in cambio egli vedeva dappertutto dietro le cose che si estendevano nel mondo fisico, entità divino-spirituali di natura inferiore, ma anche quelle di natura superiore. È un’ingenua ed infantile rappresentazione credere che, quando gli uomini antichi descrivevano i loro dei nella natura, avessero solo favoleggiato qualcosa. Essi non inventarono nulla. Ciò sarebbe proprio così ingenuo,
come quando sentissimo che qualcuno ha visto questo o quello in stato di veglia, e noi dicessimo: “Questo lo ha solo inventato”. Gli antichi non avevano solo inventato le cose, ma le avevano viste, intessute nelle percezioni sensibili, perciò erano anche molto confuse, perché in certo qual modo vedevano sullo sfondo del divino-spirituale ciò che si svolgeva. Era dunque una tutt’altra immagine del mondo che aveva l’uomo antico.
Nello svegliarsi egli si immergeva più profondamente nel suo corpo eterico e quindi aveva un’altra immagine del mondo. Egli era dentro di sé e perciò gli si mostravano le entità divino-spirituali nei loro destini. L’uomo vedeva dentro i mondi divini che avevano preceduto il suo proprio mondo. Gli dei mostravano
all’uomo il suo destino ed egli poteva, mentre guardava dentro i mondi divini, percepire i destini degli dei. Egli poteva dire: “Io so da dove provengo, io so a quale mondo sono connesso”. Questo perché l’uomo poteva avere in sé il punto di partenza delle sue prospettive. Egli trasformava il suo corpo eterico in un organo per poter percepire da lontano questi dei. L’uomo moderno non può fare questo. Egli può assumere la sua prospettiva solo dalla testa e questa si trova al di fuori della parte spirituale del corpo eterico. Il corpo eterico della testa è qualcosa di caotico, non è completamente organizzato come il corpo eterico del resto dell’organismo. Pertanto l’uomo vede proprio il mondo fisico con più precisione rispetto al passato, ma dietro non scorge più gli dei. Nell’epoca presente, però, si trova in una fase di preparazione. Egli si sta avviando a uscire completamente da sé e assumere la sua prospettiva da fuori. Questo è qualcosa che gli verrà dato nel futuro. Adesso egli si sta già avviando, perché se non si è dentro come nella propria testa, allora si è dentro il
mondo veramente solo con i pensieri più astratti. «In nulla si è più dentro la ragione» potremmo dire; diciamo qualcosa di estremo quando affermiamo: «Non si è dentro da nessuna parte come in una testa umana». Una testa umana dà solo una coscienza dell’esistenza fisica terrestre. Ma nella stessa misura in cui l’uomo cresce oltre la sua testa, conseguirà di nuovo conoscenza, ora però dall’uomo stesso. Quando l’uomo era ancora in sé, doveva ricevere conoscenza dal destino degli dei. Tirandosi fuori da sé, può ricevere conoscenza dal suo proprio destino nel mondo. Può guardare dentro di sé. E se solo gli uomini già ora si dessero da fare abbastanza, la testa non sarebbe affatto d’ostacolo così fortemente, come si crede di solito, in questo guardare
dentro nel proprio destino umano, nel destino universale umano. L’ostacolo è solo che gli uomini si impuntano su questo, nel non voler affatto vivere altrimenti che nelle loro teste; e come si dice “politica di parrocchia”, così si potrebbe anche dire “conoscenza umana della testa”. È un non voler guardar fuori, al di sopra di quello che produce la testa, quando gli uomini, oggi, ancora non vogliono per niente comprendere in base al proprio sano intelletto umano ciò che solo l’antroposofia offre come saggezza dell’uomo, come qualcosa che si può sapere sugli esseri umani.
Così l’uomo si sta avviando a imparare a conoscere l’essere umano, perché a poco a poco assume il suo punto di partenza fuori dall’uomo. Quindi anche il destino comune degli uomini è uscire via via sempre più dal corpo eterico e imparare a conoscere l’uomo. Ma questo è naturalmente qualcosa collegato ad un certo pericolo. Si perde a poco a poco o, perlomeno, sussiste la possibilità di perdere il rapporto con il proprio corpo eterico. È per l’appunto nel destino universale dell’umanità che è stato posto rimedio col mistero del Golgotha. Mentre prima l’uomo vedeva i destini divini all’esterno, da allora è capace di vedere il proprio destino umano nel mondo. Ma uscendo sempre più da se stesso e venendo così a comprendere il mistero del Golgotha come Paolo ha voluto: «Non io, ma il Cristo in me», l’uomo ritorna entro l’umano grazie al suo congiungimento con il Cristo. Dunque proprio attraverso l’evento-Cristo può ora sopportare questo uscire graduale. Ma questo evento-Cristo deve diventare davvero sempre, sempre, più intenso. Perciò, quando nel corso del destino universale il mondo divino esteriore tramontava sempre più, sorgeva nell’uomo la possibilità di avere ora un destino divino che si svolgeva sulla Terra stessa, quindi del tutto congiunto con l’uomo. È così, quando rappresentiamo l’uomo antico, egli aveva le sue percezioni divine intorno a sé. Se le formava dalle immagini. Era la sua mitologia, il mito. Queste percezioni divine sono tramontate. In certo qual modo c’è solo il mondo fisico attorno all’uomo. Ma con ciò, ora, egli ha la possibilità di unirsi nella sua interiorità con un destino divino: con il passare del Dio attraverso la morte, con la resurrezione del Dio.

L’uomo nei tempi antichi ha rivolto il suo occhio spirituale verso l’esterno, ha visto destini divini; da qui si è formato il mito che viene vissuto in immagini, in immagini fluttuanti, il mito che può essere multiforme poiché, in fondo, nel mondo dello spirito vive nei modi più diversi. Si potrebbe dire che questo mondo divino fosse qualcosa che, con un certo grado di poca chiarezza, era già percepibile per l’uomo terreno quando lo percepiva nella sua istintiva chiaroveggenza. Di conseguenza gli uomini trassero secondo i loro diversi caratteri le differenti immagini di questo mondo divino. I miti dei diversi popoli sono quindi diventati differenti.
L’uomo percepiva un mondo vero, questo mondo vero era più nei sogni, che però provenivano dal mondo esterno. Erano immagini di maggiore o minore chiarezza, ma la chiarezza non era abbastanza grande da essere evidente per tutti gli uomini. Ora giunse un destino divino che si svolse sulla Terra stessa. Gli altri destini divini erano più lontani dall’uomo. L’uomo li vedeva nella prospettiva, di conseguenza non li vedeva chiari. Gli erano più lontani nella sua vita terrena. L’evento-Cristo gli è vicinissimo nella sua vita terrena. Egli vedeva gli dèi in modo poco chiaro, poiché in un certo senso li vedeva nella prospettiva. Non guardava ancora come si deve al mistero del Golgotha, poiché questo gli stava troppo vicino. Scorgeva gli dèi in prospettiva senza chiarezza, poiché gli erano lontani, troppo lontani per vederli distintamente, altrimenti tutti i popoli avrebbero formato lo stesso mito. Il mistero del Golgotha è troppo vicino all’uomo, gli è troppo fortemente attaccato. Prima egli dovrebbe acquisire ancora una prospettiva: con l’uscire sempre più da se stesso, deve acquisire una prospettiva per il destino divino sulla Terra, per il mistero del Golgotha. Questo è il motivo per cui coloro che vissero nel tempo in cui ebbe luogo il mistero del Golgotha, e potevano ancora vedere, compresero facilmente il Cristo. Potevano comprenderlo facilmente perché avevano visto il mondo divino e adesso sapevano: «Il Cristo è uscito da questo mondo divino su questa Terra per il suo ulteriore destino che inizia con il mistero del Golgotha». Per quanto avessero anche già guardato il mistero del Golgotha in modo poco chiaro, fin lì potevano vedere bene il Cristo. Perciò sapevano dire moltissimo
del Cristo come Dio. Cominciarono solo a discutere cosa era successo a questo Dio, quando con il battesimo di Giovanni nel Giordano si era immerso in un uomo. Perciò abbiamo, nei primi tempi del cristianesimo, una cristologia molto pronunciata e nessuna gesuologia. E poiché soprattutto il mondo divino terminò di essere un mondo conosciuto, la cristologia si tramutò innanzitutto in una semplice gesuologia. E la gesuologia diventò sempre più forte fino al XIX secolo, in cui il Cristo non venne assolutamente più capito nemmeno con l’intelletto, laddove la teologia moderna fece moltissimo per capire il Gesù il più possibile a livello umano e per lasciar andare il Cristo.
Ma deve proprio essere ritrovata, attraverso la conoscenza spirituale, la prospettiva per riconoscere l’importante, il Cristo nel Gesù. Poiché soltanto così diventa possibile vedere l’uomo e l’umanità stessa, ora indirettamente tramite il nesso con il Cristo, di nuovo con interesse, in modo indiretto grazie alla comprensione del mistero del Golgotha, invece di restare distaccati dall’uomo e guardarlo solo dall’esterno.
Così potremmo dire: «L’umanità è sulla via, nell’uscire da se stessa, di tramutare a poco a poco la realtà spirituale completamente in concetti ed idee astratti». Anzi, a questo riguardo l’umanità è già arrivata molto lontana e potrebbe in realtà incomberle questo: gli uomini potrebbero giungere sempre più alla capacità astratta, intellettuale e sviluppare in se stessi una sorta di confessione attraverso cui si direbbero: «Sì, noi viviamo certamente lo spirituale, ma questo spirituale è davvero una fata morgana, non ha alcun peso, sono solo idee». L’uomo deve ritrovare la possibilità di riempire queste idee con sostanzialità spirituale. Perciò succede che egli vive con il Cristo passando nella vita intellettuale. Cosicché il moderno intellettualismo deve crescere insieme con la coscienza-Cristo. Come uomini non dovremmo neppure riconoscere qualche cosa, se non potessimo trovare, sul cammino dell’intellettualismo, questa coscienza-Cristo. Vediamo che in tempi antichi l’uomo ha parlato della caduta del peccato. Parlava di questa immagine della caduta nel senso come se la sua entità fosse appartenuta a un mondo superiore e fosse caduta giù in uno inferiore, cosa che, se compresa in termini di immagini, corrisponde proprio alla realtà. Si può parlare di una caduta in senso del tutto reale. Proprio come l’uomo antico sentiva giustamente quando si diceva: «Sono precipitato giù da un’altezza spirituale e mi sono unito con un livello più basso», così l’uomo attuale dovrebbe trovare come i pensieri che diventano sempre più astratti lo portino anche in una sorta di caduta, ma in una caduta in cui va su, dove l’uomo in certo qual modo cade verso l’alto, quindi sale, ma sale nello stesso senso del suo perdersi, come l’uomo antico si era sentito cadere verso il suo corrompersi.

Come l’uomo del passato, che ha compreso ancora la caduta del peccato nel senso degli antichi, ha visto nel Cristo colui che ha condotto l’uomo al giusto rapporto con questo peccato, cioè alla possibilità di una redenzione, dunque come l’uomo antico, sviluppando coscienza, vedeva nel Cristo colui che lo ha sollevato dalla caduta, così l’uomo attuale, che entra nell’intellettualismo, dovrebbe vedere nel Cristo colui che gli dà peso, in modo che spiritualmente
non voli via dalla Terra, cioè dal mondo in cui deve esser dentro. L’uomo antico ha guardato prevalentemente l’evento-Cristo nel senso dell’evoluzione della volontà, la qual cosa è in relazione con la caduta; così l’uomo attuale dovrebbe imparare a vedere il Cristo in relazione con il pensare; perde la realtà se non è capace di dargli importanza, in modo da ritrovare realtà nella vita stessa del pensare. A questo punto ci si deve dire: l’umanità attraversa un’evoluzione. E come Paolo poté parlare del vecchio Adamo e del nuovo Adamo, il Cristo, così lo può in certo senso anche l’uomo moderno; solo deve chiarirsi che l’uomo che aveva ancora l’antica coscienza in sé si sentiva custodito, grazie al Cristo, e che l’uomo attuale deve sapersi protetto, grazie al Cristo, dallo sbalzar fuori nell’insussistenza della mera astrazione e del mero intellettualismo. L’uomo moderno ha bisogno del Cristo per occuparsi del suo peccato che si espande, perché possa nuovamente diventare buono. E perciò il pensiero diventa buono, cosicché si può ricongiungere
con la vera realtà, con la realtà spirituale. Così proprio per colui che scruta i misteri dell’universo sussiste la completa possibilità di far entrare il Cristo in tutta la più moderna evoluzione della coscienza. E ora ritorniamo alle nostre immagini precedenti che ho accostato alla capacità umana del ricordo. Allora
potremmo dire: sì, noi continuiamo a vivere come esseri umani nel mondo spirituale, ci solleviamo sul mondo spirituale, mentre con la nostra testa guardiamo fuori nel mondo fisico. Non emergiamo però fuori completamente, bensì solo con la nostra testa. Rimaniamo talmente nel mondo spirituale che i nostri stessi ricordi si svolgono sempre in esso. Il nostro mondo della memoria rimane sotto nel mare del mondo spirituale. Vedete, finché ci troviamo fra nascita e morte e non siamo forti abbastanza nel nostro Io da vedere tutto ciò che là sotto succede con i nostri stessi ricordi, non ci accorgiamo di nulla di quello che in effetti avviene con noi nell’epoca attuale in quanto umanità. Quando però moriamo, con questo mondo spirituale, da cui ci solleviamo
fuori nell’esistenza fisica come un pesce che boccheggia, la cosa diventa molto seria. E qui non guardiamo indietro così da credere di vedere immagini di ricordo insussistenti, commettendo l’errore che la prospettiva del tempo annienti anche la realtà. L’uomo si abbandona alla memoria del tempo come uno che, vedendo qualcosa in lontananza, poiché vi è una prospettiva spaziale, non la ritenga realtà, bensì solo immagine; quindi direbbe: «Sì, se mi allontano molto, il castello là è così piccolo, così estremamente piccolo, che di certo non può avere nessuna realtà, poiché in un castello così piccolo non possono certamente abitarci degliuomini, dunque non può avere nemmeno alcuna realtà». Così è all’incirca anche qui la conclusione. Quando l’uomo guarda indietro nel tempo, non ritiene realtà le immagini di ricordo, perché non tiene conto della prospettiva temporale. Questo però termina quando finisce ogni prospettiva, quando siamo fuori da spazio e tempo. Quando siamo morti, allora questo finisce. Qui ciò che vive nella prospettiva temporale si presenta in modo molto forte come realtà.
È ora possibile che noi abbiamo portato dentro il nostro vivere ciò che io chiamo coscienza-Cristo. Allora, dopo la morte, guardiamo indietro e vediamo che nella vita ci siamo connessi con la realtà e non abbiamo vissuto solo astrattamente. Dove termina la prospettiva, là c’è la realtà. Noi però siamo rimasti al solo vivere astratto, lì c’è senza dubbio anche la realtà, ma noi nella vita terrena abbiamo costruito castelli in aria. Abbiamo costruito qualcosa che in sé non ha solidità. Con il conoscere e il sapere intellettuale si può indubbiamente costruire qualcosa, ma la cosa non ha saldezza, è fragile. Così l’uomo moderno ha bisogno di porsi con la coscienza-Cristo per connettersi alla realtà, per costruire non castelli in aria, ma castelli dello spirito. Per la Terra i castelli in aria sono qualcosa in cui ciò che si trova sotto è troppo poco consistente. Per la vita spirituale i castelli in aria sono qualcosa che sta sotto lo spirito. I castelli in aria si trovano sempre al loro posto. Solo per l’esistenza terrena sono troppo esili, per quella spirituale sono fisicamente troppo densi. Gli uomini allora non possono staccarsi dal fisico denso che, di fatto, rispett allo spirituale, ha però più scarsa realtà; rimangono legati alla Terra, non hanno un rapporto libero con l’esistenza terrena, se hanno costruito castelli in aria attraverso l’intellettualismo.
Vediamo quindi che proprio per l’intellettualismo la coscienza-Cristo ha un significato molto reale, un  significato nel senso di un effettivo insegnamento di redenzione – la redenzione dalla costruzione di castelli in aria – per la nostra esistenza, dopo che abbiamo varcato la soglia della morte.
Queste cose non sono articoli di fede per l’antroposofia, ma conoscenze che ora possono essere acquisite allo stesso modo delle conoscenze matematiche acquisite da coloro che sanno applicare i metodi matematici...."

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